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L’ambiente toscano e le decisioni che ci attendono in futuro 

Intervista rilasciata a Giulia Corrado per Quaderno pratese (Sciopero per clima a Prato nel 2019 – Foto Valentina Ceccatelli) nella quale parlo di ambiente a 360°, sulla Toscana, su Prato e non solo, cercando di delineare una visione di come affrontare i temi ambientali e della mobilità.

Dopo pandemia e guerra, la prossima minaccia al benessere di persone, società e pianeta è legato alle conseguenze della vasta e ramificata crisi ambientale. Niente di nuovo sotto il sole, a dire il vero: se ne parla da anni con crescente richiesta di assunzione di responsabilità. A preoccuparsene, principalmente, sono coloro che nel mondo dei prossimi cinquant’anni dovranno viverci, e cioè i più giovani, ma a prendere le decisioni sono quelli che per ragioni anagrafiche in quel mondo transiteranno per poco. Anche l’ultimo rapporto dell’International Panel on Climate Change (IPCC) presentato il 28 febbraio scorso a Berlino parla chiaro: la questione non è più differibile. “Questo rapporto riconosce l’interdipendenza tra clima, biodiversità e persone e integra le scienze naturali, sociali ed economiche in modo più forte rispetto alle precedenti valutazioni dell’IPCC – ha detto Hoesung Lee, economista sudcoreano a capo del Panel – Il rapporto sottolinea l’urgenza di un’azione immediata e più ambiziosa per affrontare i rischi climatici. Le mezze misure non sono più una possibilità”. 

Coordinare un’azione globale può essere molto complicato. C’è chi sostiene che l’unico modo per un reale passo in avanti sia quello della concertazione multilaterale tra stati e chi invita ad una “riduzione in scala” dell’intervento per responsabilizzare i territori rispetto alla protezione ambientale e iniziare con azioni concrete, ma le due strade, in realtà, non si escludono e per raggiungere l’obiettivo dovrebbero essere percorse insieme.

A livello toscano, per fare un punto della situazione ambientale abbiamo fatto una lunga chiacchierata con Marco Talluri, giornalista ed ex dirigente di ARPAT, dove dal 2015 ha coordinato la rete dei comunicatori del Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente, oltre ad essere stato direttore responsabile di Nonsolobus e di Arpatnews, vicedirettore della rivista Trasporti Pubblici, nonché coordinatore della redazione di Ambienteinforma. Adesso che è in pensione, si dedica anima e corpo al suo blog Ambiente e non solo, un vero e proprio progetto di data journalism sui temi dell’ambiente, comunicazione, sviluppo sostenibile, mobilità sostenibile e non solo, appunto. 

Dalla nostra chiacchierata con Marco Talluri  emerge che la situazione in Toscana non è uniforme e oscilla, dati alla mano, tra posizionamenti in area d’eccellenza e performance decisamente migliorabili, per un risultato medio “accettabile” ma che può e deve puntare più in alto. Soprattutto, si staglia netta la necessità di un cambiamento strutturale che coinvolga l’urbanistica e l’idea di città che abbiamo in Toscana, con azioni prioritarie soprattutto nell’ambito dei trasporti in direzione di un sistema di mobilità sostenibile e dolce realmente metropolitano e capace di ridurre contemporaneamente più problemi, dall’inquinamento atmosferico a quello del congestionamento delle città.

L’importanza di un approccio data-driven

Marco Talluri

Il nostro lungo colloquio con Talluri parte proprio dall’importanza che la raccolta di dati ricopre per il racconto complesso dell’ambiente. «Ritengo fondamentali i dati ambientali ed è essenziale che esistano enti tecnico-scientifici come il Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente, di cui le agenzie regionali ARPAT fanno parte, che siano il più possibile autonomi dalla politica e che garantiscano la raccolta, organizzazione e diffusione di dati ambientali certificati – dice – Naturalmente per essere autonomi servono anche le risorse, umane ed economiche, per funzionare. Sono convinto che in campo ambientale, ma anche in altri campi, si debba partire da dei dati oggettivi, da informazioni certe, per formulare valutazioni e quindi opinioni o prendere decisioni».

Anche per i cittadini i dati ambientali hanno un’importanza cruciale. Sono un patrimonio di informazione e una finestra sullo stato dell’arte, e anche punto di riferimento fondamentale per la formazione di una coscienza ambientale e di una valutazione dell’operato degli amministratori. Nella relazione politica tra cittadini e amministrazioni i dati  diventano un terreno di confronto. La loro comunicazione è quindi un passaggio fondamentale non solo in termini di trasparenza ma anche di dialettica politica. «I dati ambientali e tutta la normativa che esiste in questo campo costituisce un ambito verso cui i cittadini hanno un diritto all’informazione, ad avere cognizione di ciò che succede. Gli enti pubblici che detengono questi dati hanno di conseguenza il dovere di renderli noti e diffonderli in modo proattivo», dice Talluri.

La compliance toscana alle normative nazionali ed europee in materia ambientale

L’ambiente è un campo molto esteso: dalla qualità dell’aria e dell’acqua allo stato del suolo e al livello di emissioni da attività produttive fino ai campi elettromagnetici e a molto altro. Altrettanto dettagliato e stratificato è quindi il quadro normativo che disciplina questi ambiti, soprattutto quando i livelli di legislazione si moltiplicano dai regolamenti comunali alle norme internazionali, con tutte le conseguenze che questa stratificazione giuridica ha sulla determinazione delle soglie e dei livelli di accettabilità, quantitativi e qualitativi, di ciascun capitolo ambientale. 

Il rispetto della legge rischia di essere, così, comunque insufficiente. «Per ciascuno di questi ambiti ci sono problemi, non c’è mai un’aderenza e un rispetto pieno dei valori indicati dalle normative europee poi recepite a livello nazionale. In molti casi è necessario confrontarsi non solo con le normative europee, ma anche con i valori raccomandati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità per tutelare la salute delle persone», spiega Talluri, illustrando come la complessità del tema ambientale risieda anche nell’apparente certezza data dalla legge. «Non è sufficiente rispettare la legge perché spesso i limiti sono il frutto di un compromesso, di una contemperazione di interessi diversi. Quelli dell’aria ne sono un esempio: quando fu emanata la direttiva tuttora vigente erano appena entrati nell’Unione Europea i paesi dell’Est, che mai avrebbero potuto rispettare valori più stringenti di quelli attualmente stabiliti».

A livello generale, nella nostra regione, la situazione secondo Talluri non è delle peggiori. «In generale direi che la Toscana è messa discretamente, sicuramente meglio di altre regioni sia del nord che del sud, ma non è possibile adagiarsi sugli allori: è sempre opportuno cercare di fare meglio. Sicuramente in Italia non siamo fra le situazioni peggiori ma questo non significa che non ci sia comunque da fare».


L’inquinamento atmosferico

«Sull’inquinamento atmosferico, negli ultimi quindici anni la situazione è sicuramente migliorata in Toscana – comincia Talluri – È decisamente migliore di quella della Pianura Padana, ma il problema è rispetto a che cosa ci confrontiamo. Se ci confrontiamo con la normativa italiana ed europea con i limiti stabiliti a quel livello va bene, le non conformità sono molto circoscritte per quanto riguarda le polveri (PM10 e PM5) e riguardano la piana lucchese e per il biossido di azoto la centralina Gramsci di Firenze. Se invece confrontiamo questi aspetti e in particolare quello delle polveri con le raccomandazioni dell’OMS, che proprio nel settembre scorso ha adottato nuove linee guida rispetto a quelle del 2005 con valori molto più stringenti, vediamo che anche in Toscana non riusciamo a stare sotto questi valori». 

Le ragioni della stretta dell’OMS sono motivate, dice Talluri. «L’OMS ha illustrato le evidenze scientifiche che stanno alla base delle nuove indicazioni, cioè che esposizione di lungo periodo a questi inquinanti a valori come quelli che si registrano hanno conseguenze negative sulla salute delle persone, in termini di ospedalizzazione e decessi prematuri e sicuramente in questi campi c’è da fare».

Superare il traffico veicolare

Cosa fare quindi? 

«Tenendo conto che il biossido di azoto è prodotto dal traffico veicolare e dalle polveri degli impianti di riscaldamento, è su traffico e riscaldamento che bisogna intervenire –  spiega Talluri – Rispetto al traffico credo sia evidente che sono necessari interventi strutturali di mobilità sostenibile per le nostre città, che riguardano il trasporto pubblico, con scelte come ha fatto giustamente Firenze che ricadono su una rete di trasporto di massa non inquinante come la tramvia, favorendo e incentivando al contempo il trasporto pedonale e ciclabile. Significa cambiare il volto delle nostre città e fare sì che non siano più a misura di auto, ma centrate su un sistema di trasporto che permetta una mobilità sostenibile invece di distese di auto».

A questo proposito, il sistema di allerta in Toscana è diverso da quello di altre regioni. Basti pensare a Milano, dove dopo due o tre giorni di superamento del limite le restrizioni alla circolazione sono immediate, similmente a quanto accade anche in Emilia. Da noi, sembra essere meno immediato: il sistema di allerta rischia allora di essere troppo macchinoso per essere realmente efficace sull’intervento e la sua tempestività? Secondo Talluri «La situazione della Pianura Padana (quindi comprese Milano e Bologna) è molto diversa da quella che abbiamo in Toscana. Nel Nord Italia esiste, dal punto di vista dell’inquinamento atmosferico, la situazione peggiore di tutta l’Europa occidentale e quindi è comprensibile che si prevedano interventi molto rapidi. Per quanto riguarda i superamenti del limite giornaliero per le polveri sottili, ormai nella piana fiorentina sono molto contenuti, gli interventi cosiddetti “contingibili e urgenti” sono rivolti a cercare di “tagliare” queste punte. Tuttavia per affrontare davvero i problemi dell’inquinamento atmosferico è piuttosto necessario concentrarsi su interventi strutturali, sicuramente più complessi ma che possono essere davvero risolutivi. Ad esempio sulla gestione della mobilità cittadina. Occorre davvero ripensare il modo di muoversi nelle nostre città, e questo vale anche per Prato. Il capoluogo regionale ha fatto una scelta sofferta ma decisa per realizzare una rete di linee tranviarie che possa garantire una consistente parte degli spostamenti. Il successo delle prime linee entrate in esercizio lo dimostra. Ricordo che fino agli anni Cinquanta, quando furono sciaguratamente smantellate le linee tranviarie a Firenze come in molta parte d’Italia, esistevano linee che collegavano Firenze con Prato e Poggio a Caiano. Probabilmente occorrerebbe iniziare a ragionare davvero in una logica metropolitana – aggiunge Talluri – quanti sono gli spostamenti in auto fra Prato e Firenze, in che modo un sistema tranviario potrebbe essere competitivo con l’uso dell’auto? Queste le riflessioni su cui ci dovremmo concentrare. E poi, per gli spostamenti di corto raggio, puntare alla mobilità dolce, pedonale e ciclabile, trasformando il nostro modo di vivere le città».

E a Prato? Dal punto di vista delle emissioni legate al traffico urbano, «Vediamo che al momento si trovano in una situazione più o meno analoga a quella del resto della Toscana, una situazione in cui c’è rispetto delle normative europee. Però anche in questo caso siamo al di sopra dei valori raccomandati dall’OMS – spiega Talluri – Quindi anche a Prato, come in altre parti della Toscana, c’è da fare». L’impostazione per la rilevazione delle emissioni, dal numero delle centraline alla loro dislocazione, è però aggiornata al 2015. Abbiamo chiesto a Marco Talluri se è considerabile ancora adeguata o se ci fosse qualcosa da rivedere, anche e soprattutto rispetto al legame tra rilevazioni e sistema delle soglie di allerta. «La configurazione della rete di monitoraggio è stata studiata in modo approfondito anche con il supporto del Lamma – dice – in ogni caso il Centro Regionale per la Qualità dell’Aria di ARPAT tiene costantemente sotto controllo la situazione e se dovessero rilevare problemi certamente interverrebbero.”

Migliorare i sistemi di riscaldamento

L’altro aspetto riguarda gli impianti di riscaldamento. «Recentemente sono stati pubblicati i dati del catasto sugli impianti in Toscana e ancora c’è una certa quantità di impianti alimentati a combustibili liquidi, come gasolio e olio. Nella regione, più di 500 impianti sono a carbone, oltre 23.000 a gasolio e oltre 33.000 a biomasse. Tutte queste forme di riscaldamento producono molta più polvere sottile, nociva per la salute rispetto al tradizionale combustibile utilizzato (metano) – dice Talluri – Ci sono soluzioni più avanzate, come le pompe di calore connesse con sistemi fotovoltaici, ma il primo obiettivo dovrebbe essere ridimensionare se non eliminare del tutto le forme di riscaldamento a combustibili liquidi e solidi. Per il riscaldamento a legna i dati sono sovrapponibili con livelli di polveri più elevati e quindi più concentrati nella piana lucchese».

Sul fronte delle emissioni di polveri legate agli impianti di riscaldamento, Prato detiene il record positivo in Toscana. «Prato è tra le situazioni migliori – spiega Talluri – il 98,99% degli impianti sono a metano o GPL. C’è un numero veramente molto ridotto di impianti diversi in tutta la provincia: 293 impianti a gasolio, 44 a carbone e 474 a biomasse. Inoltre è al terzo posto per vetustà degli impianti: più del 60% ha meno di 15 anni. Per essere proprio ottimali, quei pochi impianti che non sono a metano o gpl dovrebbero essere riconvertiti a forme meno inquinanti».

La qualità delle acque

Anche la qualità delle acque dei fiumi e dei mari toscani è un aspetto rilevante nel panorama della situazione ambientale del nostro territorio. Dai dati relativi ai fiumi, sembra evidente che la situazione sia decisamente migliorabile. «Il monitoraggio che viene effettuato sulla base delle indicazioni provenienti dall’Unione Europea prevedeva che dovesse essere raggiunto lo stato di qualità “Buono” entro il 2020, poi il traguardo è stato un po’ spostato – racconta – Il dato che rileviamo è che anche nell’ultimo triennio per cui sono disponibili dati, cioè il 2016-2018, il complesso dei fiumi raggiunge poco più del 30% di qualificazione di “Buono”, il 32% è “sufficiente” e il 20% scarso o cattivo. Ovviamente ci sono differenze anche rilevanti tra un corso d’acqua e un altro, ma emerge in modo chiaro che siamo ben lontani da una situazione di conformità ad una situazione di acque buone». Una situazione che peraltro si aggrava con la prossimità ai luoghi di maggior antropizzazione. “Guardando ai singoli fiumi, via via che si procede dalle sorgenti verso le zone antropizzate la situazione peggiora. In molti fiumi della Toscana si trovano residui di pesticidi, tra cui il “famoso” glifosate, di cui le cronache si sono riempite qualche tempo fa e si trovano anche nuovi inquinanti, più recenti, come i PFAS, che sono divenuti noti dopo la vicenda del Veneto».

Anche a Prato, alla voce “fiumi” la situazione non è delle migliori, considerando che il Bisenzio registra livelli di qualità dell’acqua diversi a monte e a valle. «Se andiamo a vedere lo stato ecologico del Bisenzio, vediamo che a Vernio è considerato “buono” e quando arriva alla stazione di monitoraggio di Prato diventa “scarso” – dice Talluri – Lungo il percorso del fiume ci sono apporti problematici. Probabilmente la condizione è migliore di qualche anno fa, ma occorrerebbe intervenire su tutto il sistema di adduzione delle acque da Vernio in giù per fare in modo che non ci siano apporti inquinanti».

La presenza di inquinanti nelle acque solleva interrogativi anche sul funzionamento dei sistemi di depurazione. «Sul versante dei dati sul funzionamento dei depuratori si deve riconoscere che buona parte dei comuni toscani sono allacciati ai depuratori, ma evidentemente ci sono dei limiti nel loro funzionamento e nella loro estensione, altrimenti i dati non sarebbero questi», spiega Marco Talluri –  Le decisioni e gli investimenti dell’amministrazione pubblica dovrebbero partire dai dati e dovrebbero anche interessare campi che godono di minore visibilità. La qualità delle acque non è così visibile, ma gli interventi in questo campo sono necessari, ad esempio sui sistemi fognari e sui depuratori. Talvolta è molto più semplice investire in cose che “si vedono” e che magari fanno fare più figura, ma i dati mostrano che servono anche questi interventi meno visibili».

E servono anche perché concorrono alla qualità delle acque del mare: su questo fronte, rispetto al capitolo della balneazione, in Toscana si osserva una situazione preoccupante soprattutto in Versilia. «I dati mostrano una costa toscana divisa in due, dove il versante della Versilia ha grossi e ricorrenti problemi. La questione è non fermarsi all’effetto, ma vedere la causa – precisa – ci sono situazioni di impianti di depurazione non sufficienti, scarichi non convogliati in fognatura, fognature nere e bianche non separate e molte altre cose. Credo che se la Toscana nella riviera apuana vuole puntare sul turismo, deve far tornare il mare in condizioni ottimali, cosa possibile investendo con una specie di roadmap di interventi. Non sono cose che si fanno in un giorno, ma se non si comincia mai e non si fa una progettazione rigorosa, anche con tempistiche di pubblico dominio, non ci si arriverà mai».

Sullo stato delle spiagge  la situazione sembra in linea con la media nazionale, ma il confronto con i parametri europei fa capire che nel nostro paese è urgente lavorare sul miglioramento della cultura ambientale, a più livelli. «Su una media nazionale di 900 oggetti per cento metri di spiaggia, essenzialmente materiali plastici, stoviglie, shopper, mozziconi di sigaretta, in Toscana registriamo 400 oggetti ogni cento metri: meno, è vero, ma comunque troppi  – dice –  Lo standard dovrebbe essere molto meno: a livello europeo è stato indicato in meno di 20 rifiuti ogni 100 metri, valore soglia per un buono stato ambientale marino e costiero. Siamo una delle situazioni “migliori” e siamo a 400: questo dimostra quanto c’è da fare sia in termini di educazione delle persone che di vigilanza sulla gestione dei rifiuti».

La gestione dei rifiuti

Proprio la gestione dei rifiuti, tramite la raccolta differenziata, è stata negli anni il principale tema di educazione ambientale. Nonostante ciò, la Toscana ha una situazione ancora molto eterogenea al suo interno e sembrerebbe molto indietro rispetto agli obiettivi. «Nel 2020 la Toscana non raggiunge il livello che doveva raggiungere nel 2012 del 65% di raccolta differenziata, con grosse differenze fra comuni – spiega Talluri – Nel 2020 sono 143 i comuni che hanno superato questa soglia, 130 non lo hanno fatto e 77 raccolgono meno del 45% di rifiuti in modo differenziato. È una Toscana a macchia di leopardo, dove ci sono zone con buoni o ottimi livelli e altre con livelli fra i peggiori, e anche questo mostra come sarebbe necessario seguire i dati per attuare politiche più adatte». La priorità deve essere quindi quella di renere il più possibile unuiforme la situazione e cercare così di raggiungere il 70% che era l’obiettivo della Regione. «Farlo significa intervenire in modo puntuale e anche con azioni forti, ad esempio con il commissariamento dei comuni per la gestione dei rifiuti, e fare in modo che il comune dove siamo più indietro si muova e si dia da fare. Le politiche non sono nemmeno da inventare: abbiamo visto che il porta a porta funziona e andrebbe esteso ovunque sia possibile».

Anche nella provincia di Prato la situazione è piuttosto differenziata tra comuni ma si colloca nella fascia più alta per la gestione dei rifiuti. Talluri ricorda che «A livello regionale la provincia di Prato sicuramente è fra quelle messe meglio e tutti i comuni della sua provincia nel 2020 hanno percentuale superiore alla media regionale toscana. Possiamo dire tranquillamente che Prato è una delle province con la miglior gestione dei rifiuti».

Forestare le città

La piantumazione di alberi e in generale le politiche sugli spazi verdi sono il principale strumento di intervento di molti comuni nella lotta al cambiamento climatico, una pratica che negli ultimi anni è stata al centro di interventi mirati e che talvolta è stata accusata di essere una mera azione “cosmetica” per collocarsi nello stream estetico e comunicativo della sostenibilità. Ci può essere una dimensione di immagine, ma le politiche di forestazione sono necessarie e dispiegano effetti concreti. 

Il vero punto è che la loro efficacia, senza altri interventi, resta limitata. «Quando si parla di interventi per limitare gli effetti del cambiamento climatico ovviamente si deve intervenire per la riduzione delle emissioni e interventi di mitigazione e contrasto – spiega Talluri – La piantumazione di alberi, che assorbono la CO2 in modo naturale per le loro stesse caratteristiche, è un intervento importante. Non a caso nella strategia europea è prevista, fra le altre azioni, la piantumazione di 3 miliardi di alberi nei prossimi anni, quindi sì, è bene che si piantino alberi. Questo non significa però che sia sufficiente: sono necessarie altre azioni che vadano in quella direzione e quindi soprattutto in ambito di trasporti e di sistemi di riscaldamento e qui entrano in gioco soprattutto le rinnovabili e la necessità di sostituirle ai combustibili fossili».

Ragionare sulle città è prioritario perché è nelle città che si giocherà anche la partita fondamentale dell’adattamento ai cambiamenti climatici, aspetto di cui si parla poco ma che è quello più sfidante in prospettiva, rispetto alle conseguenze del peggioramento della crisi ambientale. «Purtroppo gli ultimi rapporti dell’IPCC ci dicono che sempre più spesso saremo oggetto di eventi meteorologici estremi, con danni importanti alle cose, alle persone e alla natura – dice Talluri – Occorre incominciare a pensare, come si fa in altri paesi europei, al tema dell’adattamento. Significa che quando si progettano gli insediamenti, quando si fanno progetti rispetto agli assetti urbanistici, si deve tener conto che i prossimi decenni non saranno uguali a quelli passati, ma con temperature e precipitazioni molto diverse e molto più pericolose. Questo si ricollega ad un altro tema, cioè alle tante aree che nella nostra regione sono soggette a pericolosità idraulica e pericolosità di frane e che avrebbero bisogno in questa prospettiva di interventi ad hoc».

Una riflessione, in questo senso, va anche al tema del consumo di suolo: è stato spesso rilevato come l’eccesso di antropizzazione sia direttamente collegato al cambiamento climatico e come una cattiva gestione del suolo influisca negativamente sulla capacità dell’ecosistema di rispondere in modo resiliente ai cambiamenti, ai cicli idrogeologici e alle modificazioni microclimatiche. Secondo Talluri «Ci siamo resi conto che il suolo è un bene prezioso, che impermeabilizzato, antropizzato, accentua i problemi in caso di eventi meteorologici estremi. Da questo punto di vista la provincia di Prato ha il record percentuale di consumo di suolo: il 14% del territorio nel 2020 era impermeabilizzato, il massimo rispetto alla media regionale del 6% e a quella nazionale del 7%. Su questo incide la dimensione contenuta della provincia, che però continua ad estendersi. Nel 2020 c’è stato un incremento anche solo nel comune di Prato, che era al 33% di suolo consumato: praticamente un terzo del territorio comunale è pienamente antropizzato e nel 2020 l’incremento è stato di 15 ettari, mentre dal 2012 al 2020 gli ettari consumati sono stati 48».

Cambiare paradigma

Si capisce che è a livello urbanistico che queste considerazioni dovranno trovare più spazio in futuro, non solo nel tentativo di incontrare gli indirizzi europei in materia, che invitano ad andare verso un consumo di suolo prossimo allo zero attraverso il recupero delle aree inutilizzate e dismesse, ma anche nell’ottica di rendere le città presidi di contrasto ai cambiamenti climatici e laboratori per una concreta inversione di rotta. Ed è qui che la questione ambientale torna ad essere pienamente politica: il PNRR e i fondi che metterà a disposizione saranno un gigantesco treno perso, oltre che uno spreco imperdonabile, se non verranno correttamente canalizzati in una visione chiara di quali vogliamo che siano i sistemi futuri, dove sistema è tutto ciò che abbia un alto grado di organizzazione: la città, i suoi trasporti, l’economia e il modello di sviluppo, lo stile di vita. I territori e le municipalità saranno attori fondamentali di questo processo, in parte già iniziato, ma stavolta si gioca il tutto e per tutto.

Anche Marco Talluri ritiene che alla base di ogni corretto utilizzo dei fondi non possa mancare una chiara e organica visione del futuro. «ll PNRR prevede molti interventi, non posso certo dare un giudizio globale, ma la sensazione che ho è che l’enorme quantitativo di risorse sia un po’ disperso in mille rivoli. Certo ci sono risorse ad esempio per la mobilità sostenibile, per le bonifiche dei siti inquinati e altri certamente utili, ma non credo che ci possiamo aspettare che siano risolutivi. I tempi del PNRR hanno fatto sì che venissero finanziati interventi già “cantierabili”, piuttosto che legati ad un disegno organico. Probabilmente non era possibile fare diversamente. Ecco, quello di cui hanno bisogno le nostre città è di un disegno di lungo periodo, un ripensamento del loro modo di essere. A Parigi la sindaca Anne Hidalgo ha puntato nella sua campagna elettorale sull’idea di una città dei 15 minuti. Una città in cui ciascun cittadino ha a meno di 15 minuti a piedi tutto ciò di cui ha bisogno per vivere, divertirsi e lavorare.  Forse un’utopia, ma su questo, una volta rieletta ha iniziato a lavorare, quartiere per quartiere, sono state fatte scelte decise in termini di mobilità, ad esempio trasformando un’arteria come rue de Rivoli in una strada prevalentemente ciclabile. Allo stesso modo i nostri vicini transalpini hanno trasformato le loro città realizzando reti tranviarie ormai da decenni – conclude Talluri – abbiamo bisogno di amministratori che lavorino sul lungo periodo, anche se non saranno loro a raccoglierne i frutti, solo in questo modo si può cambiare davvero. Se l’ottica è solamente quella del consenso a breve termine, i risultati non possono essere che molto limitati».

L’occasione per un vero cambio di paradigma per i contesti in cui viviamo, lavoriamo e produciamo ogni giorno, adesso ci sarebbe ed è questione politica della massima importanza: i soldi sono sul tavolo, restano da investire la preparazione, lo spessore politico e la capacità di visione, oltre che la volontà e il coraggio, per pensare e realizzare una realtà diversa e all’altezza di un futuro atteso da troppo tempo.

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