Commissione Europea Foreste

Regolamento europeo anti-deforestazione: le nuove (grandi) sfide per le aziende italiane

Con l’approvazione definitiva nelle scorse settimane del Regolamento Europeo Anti-Deforestazione (EUDR, EU Deforestation Regulation) per contrastare cambiamento climatico e perdita di biodiversità, si apre una fase di sfide imponenti per le aziende italiane chiamate a soddisfare i nuovi requisiti comunitari.

La nuova legge prevede l’obbligo per le imprese europee di verificare, attraverso la “due diligence”, ovvero “dovuta diligenza”, che materie prime e prodotti immessi nell’Unione o esportati dalla stessa provengano da terreni esenti da deforestazioneda degrado forestale e da violazione dei diritti umani delle popolazioni indigene e delle comunità locali dopo il 31 dicembre 2020.  

Come diretta conseguenza, nei prossimi 24 mesi, si verificheranno: stravolgimenti sostanziali di flussi, modelli e accordi commerciali tra paesi produttori e importatori, con buone probabilità di assistere anche a pratiche di elusione piuttosto che di adeguamento, un aumento del costo delle materie prime, con ricadute nella quotidianità dei cittadini europei e si manifesterà la necessità per le aziende, soprattutto PMI, di investire somme importanti per la transizione verso catene di approvvigionamento sostenibili.

A mettere in guardia rispetto agli scenari più immediati è Etifor, spin-off dell’Università di Padova specializzato in consulenza ambientale su scala internazionale: “La maggior parte delle imprese italiane chiamate ad allinearsi al regolamento entro al massimo aprile 2025, a seconda della dimensione dell’azienda – spiega Elena Massarenti, Supply Chain Specialist di Etifor– ha a disposizione diversi strumenti, purtroppo quasi sempre sconosciuti, per intraprendere un percorso che comporta tempo e dispiegamento di risorse. È quindi essenziale che approfondiscano immediatamente il tema e inizino il prima possibile il processo di adeguamento”. 

Tra i prodotti interessati dalla nuova normativa, che rappresentano la maggior parte della deforestazione indiretta dell’UE, spiccano: bovini, soia, legno, olio di palma, cacao, caffè, gomma, carbone, compresi i prodotti che contengono, sono stati alimentati con o sono stati prodotti utilizzando questi elementi, ad esempio cuoio, cioccolato e mobili, fino a includere la carta stampata e una serie di derivati dell’olio di palma utilizzati anche nel comparto energetico.

Il compito più complesso da espletare per buona parte delle imprese è la tracciabilità delle materie prime fino agli appezzamenti originari: l’applicazione dell’obbligo di geolocalizzazione in settori in cui i piccoli agricoltori rappresentano una quota significativa dei produttori risulta una strada particolarmente in salita. Per quanto riguarda i paesi produttori, il raggiungimento degli obiettivi sarà più complicato per quelli meno sviluppati e per quelli identificati come standard o ad alto rischio secondo il sistema di benchmarking (comparazione) europeo, ovvero una classificazione dei paesi scientifica e trasparente che verrà condotta entro ottobre 2023 dalla Commissione. I prodotti provenienti da paesi a basso rischio saranno soggetti a minori obblighi di dovuta diligenza e tracciabilità. 

Deforestazione: le responsabilità dell’UE

Secondo la FAO, circa 178 milioni di ettari di soprassuoli forestali, un’area grande tre volte la Francia, sono spariti globalmente tra 1990 e il 2020: è il saldo tra gli ettari deforestati, 420 milioni, il 10% di tutte le foreste sul pianeta (una superficie superiore a quella dell’intera UE), e quelli ripiantati o rigenerati naturalmente. Le aree più colpite sono quelle tropicali, le cui foreste sono state convertite principalmente all’agricoltura e al pascolo. Siccome buona parte dei beni prodotti su terreni deforestati è destinata all’esportazione, anche i paesi importatori sono considerati indirettamente responsabili.

 Questo fenomeno viene definito “deforestazione incorporata” e l’UE costituisce il secondo più grande “importatore” di deforestazione dopo la Cina: tra il 2005 e il 2018, le importazioni europee di soia, olio di palma, legname, carne bovina e derivati, cacao, caffè, gomma, colza e mais hanno causato la perdita di 2.7 milioni di ettari di soprassuoli forestali, in media 208mila ogni anno.

In Europa l’Italia è tra i maggiori consumatori di prodotti responsabili della distruzione di foreste: 36mila ettari ogni anno, seconda solo alla Germania, responsabile di più di 43mila ettari abbattuti annualmente. Segue la Spagna a quota 33mila. 

Deforestazione incorporata italiana, prodotto per prodotto

Le importazioni di olio di palma sono state la causa principale della deforestazione incorporata italiana, con un’area pari quasi all’estensione del comune di Roma: circa 125mila ettari di foresta convertiti a coltivazioni di palma. L’87% dell’area deforestata a causa delle importazioni italiane di olio di palma viene registrato in Indonesia, che rappresenta il principale esportatore verso il nostro Paese.

Venire incontro al fabbisogno nostrano di soia ha fatto sparire, soprattutto in Brasile, oltre 111 mila ettari. Siamo anche il principale paese europeo per quanto riguarda la deforestazione dovuta alle importazioni di carne bovina con 67mila ettari convertiti a pascolo, il 90% dei quali è in Brasile. Per quanto riguarda il caffè, l’Italia è responsabile della scomparsa di 21mila ettari tra Honduras e Costa d’Avorio. Questo dato ci colloca al terzo posto in UE dopo Germania e Francia.

L’area deforestata a causa delle importazioni italiane di cacao e gomma equivale all’estensione di Genova: 16mila ettari dal cacao, l’8% di tutta l’UE, di cui quasi la metà in Costa d’Avorio e 8mila dalla gomma, 9% di tutta l’UE, di cui quasi la metà in Indonesia.

A un anno dalla pubblicazione del regolamento, nell’aprile 2024, è previsto un riesame per valutare la necessità e la fattibilità di ampliare l’ambito di applicazione del regolamento ad altri prodotti, inclusi il mais e la carne di suini, pollame, ovini e caprini. EUDR: impatti e scenari per aziende e mercatoGli obblighi di conformità faranno lievitare i costi per l’approvvigionamento di materie prime esenti da deforestazione, perché le aziende dovranno sostenere costi sia “una tantum” sia ricorrenti per valutare i rischi e monitorare le forniture in ottica di due diligence e perché, specialmente nei primi anni, occorrerà cambiare fornitori tralasciando quelli che non soddisfano i nuovi requisiti.

Sul piano commerciale, il ruolo dell’UE come hub, ovvero tappa intermedia nei flussi di prodotti dai paesi fornitori ai mercati finali extra-UE, potrebbe indebolirsi in maniera sostanziale. L’aumento della domanda di soia e altre materie prime quali cereali e semi oleosi come conseguenza del conflitto in Ucraina e della siccità in diversi paesi, inoltre, rischia di aggravare ulteriormente la situazione, avvicinando la foresta a un “punto di non ritorno”.

In un contesto globale di conflitti, siccità diffusa e differenti standard di rispetto per i diritti umani e di attenzione alla qualità, con l’applicazione del regolamento, molti flussi commerciali muteranno repentinamente e drasticamente, con ragionevoli oscillazioni di prezzo, come nel caso della soia e dell’olio di palma, mentre altri solo marginalmente, come nel caso del caffè, del cacao e della carne bovina   

EUDR: buone notizie 

Contestualmente, si creeranno spontaneamente nuove opportunità di mercato per i prodotti sostenibili e “deforestation-free”. Le imprese che hanno già adottato misure per prevenire la deforestazione, numerose all’interno dell’Unione, si troveranno in una posizione di vantaggio rispetto a concorrenti meno virtuosi e si prospettano ampi margini di crescita per gli agricoltori europei che producono alternative ai prodotti in questione. In termini di foresta salvata, la valutazione d’impatto della Commissione Europea ha stimato che, con un adeguato intervento normativo e con un’applicazione sostanziale del regolamento, si potranno risparmiare 248.000 ettari di foreste entro il 2030.  

Per le aziende è quindi il momento di dotarsi di un adeguato sistema di dovuta diligenza per la valutazione e mitigazione del rischio da allineare regolarmente con gli aggiornamenti della Commissione. Esistono già numerosi software che aiutano a tracciare i flussi dei prodotti  e strumenti di monitoraggio satellitare per mappare e monitorare i fornitori, i punti di raccolta e le aree di produzione oltre ad audit sul campo, lo sviluppo delle capacità produttive o lo svolgimento di prove isotopiche per verificare l’origine dei prodotti.

Tra gli strumenti invece di prevenzione e mitigazione del rischio ci sono anche le certificazioni di sostenibilità di enti terzi, come il Forest Stewardship Council (FSC) per il legno e il Roundtable on Sustainable Palm Oil (RSPO) per l’olio di palma. Una strada percorribile è anche il coinvolgimento degli stakeholder, come i gruppi di difesa dei diritti umani e le organizzazioni ambientali, per ottenere feedback sulla loro performance in materia di sostenibilità, oppure i partenariati con organizzazioni e fornitori virtuosi per promuovere la sostenibilità nella loro catena di approvvigionamento e dimostrare il loro impegno.

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