Recensione di Franco Pistono

“Finché l’occhio che guarda e stabilisce rimarrà quello bianco, maschile, occidentale, etero, benestante ci sarà sempre una parte di mondo sommersa, lasciata indietro, dimenticata, anche nella lotta al cambiamento climatico”. Parto da questo frammento per introdurre Dove i fatti non arrivano, edito da Pacini Editore. Il corsivo è tratto dalla lettera “i” di “inclusione”; sì, perché il saggio – il cui argomento è intuitivo: comunicazione ambientale – è suddiviso in brevissimi capitoli, di vari autori, disposti in ordine alfabetico (sono 50).
Moltissimi quelli che ho trovato di immediato interesse, risuonando forte in me le parole che fanno loro da titoli: ascolto, bias, cambiamento, conflitto, fantascienza e così via. Altri, invece, ho gradito, scoprendoli strada facendo.
Ciascun capitolo è un mondo a sé, fatti salvi alcuni rimandi interni, per cui si può scegliere di leggere il libro come si desidera. In questa recensione intendo risaltare alcuni corsivi scelti qui e là, che giudico di illuminante chiarezza.
Quello d’esordio porta con sé una prima verità: senza equità, non c’è sostenibilità. Non lo dico io, lo sanno in molti: non c’è alternativa alla costruzione di un mondo giusto, pur se mille e una voci, proditoriamente, tentano di farci intendere il contrario, sbraitando stupide oscenità. Passiamo a un’altra parola magica, ora: “paradosso”.
Qui, il volume considera il fatto che la comunicazione ambientale sia spesso incentrata sulla paura, generando effetti contrari a quelli desiderati – quali l’eco-ansia – senza spingere all’azione, fatti salvi alcuni gruppi di attivisti che, tuttavia, richiamano l’attenzione più sui loro gesti che sul messaggio originario.
Dunque, cosa è necessario fare? Risposta: “occorre innanzitutto mescolare i linguaggi, fondendo la divulgazione della crisi climatica con la musica, il teatro e le arti visuali”, poiché “se non troviamo modalità originali e popolari nel trattare il tema laddove si pensa e si parla d’altro, rischiamo di continuare a ‘fare la predica ai già convertiti’ in qualche convegno, nei festival green o in quelle ‘camere d’eco’ che si creano sui social media tra chi la pensa allo stesso modo”. Specialmente le istituzioni devono trovare il coraggio di andare oltre i tecnicismi e certa disfunzionale rigidità, incontrando il linguaggio quotidiano, rendendo bello – e, oltre, cool, trendy – parlare di ambiente e clima.
Se non è chiaro, ecco l’esempio più efficace portato dal testo, incluso nel capitolo “sexy”. “Se vi domandassero: compreresti – a pari prezzo – un’auto scomoda da gestire, senza tanta autonomia, che in qualche garage o traghetto non faranno mai entrare perché in caso di incidente richiede un intervento particolare da parte dei vigili del fuoco perché in qualche caso potrebbe persino esplodere, o preferiresti un’auto alla moda, che guarda al futuro, comoda, silenziosissima, con un’accelerazione da urlo? Mi sa che la risposta sarebbe: scelgo la seconda! Eppure è della stessa cosa che stiamo parlando: di un’auto elettrica”.
Il libro, pur con molteplici rivoli (50, abbiamo detto), di fatto dà loro identici direzione e corso, come un languido fiume che conduce a un’unica foce; una visione che si offre al lettore in modo leggero, informale e convincente.
Penso che non ci sia modo migliore di chiudere la recensione di un libro curioso con alcune domande aperte; attingiamo così alla lettera “r” di “relazioni”. Il corsivo è il seguente. “Nel momento in cui prendiamo coscienza dell’esistere ‘in relazione’, possono cessare le spinte all’interesse (legittimo) singolo, in favore di ciò che probabilmente rende alcune scelte meno rilevanti. Per stare bene occorre davvero consumare, possedere, produrre, crescere, lavorare così tanto al punto da non vedere più l’altro come nostro pari, ma come competitor?”. E poco oltre: “Cosa ci fa stare bene? Cosa è progresso? Cosa è benessere?”.


“Finché l’occhio che guarda e stabilisce rimarrà [….] , etero” domanda, cosa c’entra l’orientamento sessuale con la tutela dell’ambiente? Non ho niente contro la facoltà di cambiare orientamento sessuale ma codesto accostamento fa quasi un trito greenwashing
Grazie del commento, Lorenzo.
Il tema dello sguardo è approfondito in maniera più puntuale nella versione integrale del testo. Capisco che la semplice citazione senza tutta l’argomentazione precedente possa spiazzare. L’intervento che ho curato sulla parola inclusione intende mettere in evidenza come il tema ambientale sia sempre inevitabilmente legato a quello sociale: laddove ci sono le conseguenze della crisi climatica, chi vive già in una condizione di disuguaglianza viene maggiormente colpito. In particolare, il testo approfondisce l’argomento a partire dagli esempi riguardanti il genere e le persone con disabilità, portando alcuni esempi di situazioni in cui lo svantaggio sociale si traduce in maggiore rischio di fronte a situazioni climatiche avverse.
Le faccio tutta questa premessa perché altrimenti è difficile capire la frase citata sullo sguardo ma in estrema sintesi il messaggio che ho voluto passare a fine intervento con quella frase è: allarghiamo il nostro sguardo, accogliamo narrazioni e punti di vista differenti, usciamo da una rappresentazione della realtà influenzata dallo sguardo di chi ha maggiore potere e privilegio perché altrimenti rischieremo di escludere intere categorie e quindi persone. Di qui, a strascico, anche il tema dell’orientamento sessuale, come sappiamo ancora spesso causa di discriminazioni e veri e propri abusi, per trasmettere una visione sistemica dell’equità, anche applicata all’ambiente. Non mi pare si parli di cambiamento dell’orientamento sessuale (non mi è molto chiaro cosa intenda), e mi è difficile cogliere il riferimento al greenwashing: prendersi cura dell’ambiente è prendersi cura delle persone, di tutte le persone. Almeno, questa è la mia visione, condivisa pienamente con i curatori Sergio e Stefano.
Micol Burighel