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Le città a impatto climatico zero


Recensione di Franco Pistono

Le città a impatto climatico zero”, edito da il Mulino, è un libro tecnico ma comprensibile e godibile anche per coloro che non sono “addetti ai lavori”, nonché decisamente attuale. Nella introduzione di Enrico Giovannini – Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili durante il governo Draghi – si legge che il testo «raccoglie una serie di contributi di un gruppo di esperti coinvolti nella Struttura per la transizione ecologica della mobilità e delle infrastrutture (STEMI)» dell’allora ministero stesso. Nonostante la varietà di firme, il volume, con i suoi undici capitoli, è omogeneo e scorrevole. Obiettivo dichiarato è ragionare nel merito delle migliori scelte di policy tese alla riduzione dell’impatto delle città sul clima, così da raggiungere gli obiettivi di progressiva riduzione delle emissioni, fino all’ambizioso traguardo di azzeramento delle stesse, entro il 2050.

Partendo dal fondo, il libro si concentra sulla missione “100 climate-neutral cities by 2030 – by and for the citizen”, ovvero sostenere e promuovere il percorso di 100 città europee impegnate nel processo di trasformazione verso la neutralità climatica entro il 2030, così da farle assurgere al ruolo di «poli di sperimentazione e innovazione per tutte le città». Tra esse, nove sono italiane: Bergamo, Bologna, Firenze, Milano, Padova, Parma, Prato, Roma e Torino. La sfida, allargando lo sguardo alla penisola tutta, è di estremo interesse, sia dal punto di vista climatico, sia da quello storico-architettonico, prezioso e stratificato, «con grandi distretti che includono siti patrimonio mondiale dell’UNESCO». Si tratta di un cammino tanto arduo, quanto ineludibile, considerate le evidenze che la scienza e, ormai, la quotidiana evidenza, presentano. 

In estrema concisione, i capitoli trattano argomenti quali mobilità urbana, efficientamento e produzione collettiva di energia, investimenti virtuosi, gestione sostenibile delle risorse idriche, digitalizzazione e, infine, strumenti economici e di monitoraggio. Durante la lettura, fioriscono curiosità e dubbi. Tra le prime, il desiderio di approfondire l’argomento “positive energy districts”, per capire meglio come realizzare queste forme di condivisione energetica; nel novero dei secondi, invece, l’incertezza sul fatto che “la politica” saprà guidare il cambiamento incarnando, come dovrebbe, una visione matura, illuminata e di lungo periodo. Altra questione spesso citata, per lo più ignorata dal modello economico in cui siamo immersi, è la necessità di includere nel cambiamento i meno abbienti, poiché non può esserci vera sostenibilità viceversa. Tra le “meraviglie” scovate in questo piccolo – conta poco più di duecento pagine –, ma ricco scrigno, l’Ambient Orb e il digital twin. Il primo è «una piccola sfera luminosa» che, cambiando colore, allerta in caso di consumo eccessivo; il secondo, definito «l’interfaccia ideale per mettere in relazione il mondo fisico con quello digitale», realizzando una replica della realtà, consente di sperimentare il cambiamento, simulando vari scenari di trasformazione senza trasformare l’entità fisica. 

A chiudere, fatte salve le scoperte e i ragionamenti stimolati da Andrea Tilche, Francesco Luca Basile, Michele Torsello e dagli altri autori, ciò che emerge è una certezza: trasformare le città serve ad aver cura della Terra e, in armonia con lei, di tutti noi, della nostra salute e del nostro benessere. Affiora alla mente, scrivendo, la definizione di salute dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), cioè uno «stato di completo benessere fisico, mentale e sociale». Aria pulita, spazi verdi, solidarietà umana e nei confronti di tutta la vita custodita dal pianeta, inclusione e molti altri “valori” sono in totale, inevitabile connessione con il rinnovamento urbano: un investimento serio e responsabile per il futuro.

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