Kyoto Club Mobilità Mobilità dolce (ciclabile e pedonale) Trasporto privato (auto e moto) Trasporto pubblico

2020-2030: decarbonizzare i trasporti e trasformare le nostre città, puntando sulla mobilità attiva e sostenibile

Il Green Deal europeo mira a rendere l’Europa climaticamente neutra entro il 2050. Per rendere giuridicamente vincolante questo obiettivo, la Commissione Europea ha proposto la legge europea sul clima, che fissa anche un nuovo e più ambizioso obiettivo di riduzione delle emissioni nette di gas a effetto serra di almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990.

Per conseguire questi obiettivi di decarbonizzazione, le emissioni devono essere ridotte in tutti i settori, dall’industria e dall’energia ai trasporti e all’agricoltura. I cambiamenti climatici sono una minaccia globale e possono essere affrontati solo con una risposta globale. L’obiettivo di decarbonizzazione interessa direttamente le aree urbane che ospitano il 75% della popolazione dell’Unione Europea. A livello globale le città consumano oltre il 65% dell’energia mondiale, causando oltre il 70% delle emissioni di CO2. Perciò è importante che fungano da ecosistemi di sperimentazione e innovazione e aiutino tutte le altre a diventare climaticamente neutre entro il 2050.

Per questo la Commissione Europea ha lanciato la missione “100 città intelligenti e a impatto climatico zero entro il 2030“, la cosiddetta “missione per le città”, selezionando 100 città dei 27 Stati membri, 9 delle quali italiane (Bergamo, Bologna, Firenze, Milano, Padova, Parma, Prato, Roma e Torino), che si sono impegnate a compiere azioni per raggiungere la neutralità climatica nel 2030. Le 100 città selezionate rappresentano il 12% della popolazione dell’UE. (vedi articoli pubblicati da Ambientenonsolo sul tema)

Gli obiettivi di decarbonizzazione nelle aree urbane sono poi strettamente connessi con quelli relativi alla riduzione delle emissioni inquinanti, che ogni anno determinano decine di migliaia di morti premature.  Secondo l’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA), nel 2019, l’inquinamento atmosferico ha continuato a provocare un significativo carico di morte prematura e malattie nei 27 Stati membri dell’UE: 307.000 decessi prematuri sono stati attribuiti all’esposizione cronica a particolato fine; 40.400 all’esposizione cronica al biossido di azoto; 16.800 all’esposizione acuta all’ozono. (vedi L’impatto sulla salute dell’inquinamento atmosferico nei dati dell’Agenzia Europea per l’Ambiente)

livello europeo l’uso di energia è responsabile del 77,1% delle emissioni di gas effetto serra, circa un terzo del quale attribuibile ai trasporti, oltre il 70% di questi è dovuto al trasporto su strada, che, in particolare nelle aree urbane, contribuisce in maniera importante alle emissioni anche delle sostanze inquinanti (polveri e soprattutto ossidi di azoto). (vedi Il contributo del trasporto stradale alle emissioni di CO2 in Italia: i dati dell’Inventario Nazionale Ispra, Le emissioni di ossidi di azoto, i dati dell’Inventario Nazionale delle Emissioni in Atmosfera e Le emissioni di CO2 da traffico stimate da Tom Tom per Amsterdam, Berlino, Londra, e Parigi)

Togliere veicoli inquinanti dalle strade e trasformare il modo in cui ci muoviamo è urgentemente necessario se vogliamo risolvere l’emergenza sanitaria dell’inquinamento atmosferico e fermare la crisi climatica. 

Una chiave di lettura: il modello DPSIR

In questo articolo, ed altri successivi, utilizzando il modello DPSIR (Driving forces, pressures, state, impacts, responses) messo a punto dall’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA) e da Eurostat per l’interpretazione dei fenomeni ambientali, vediamo quanta strada hanno da percorrere le grandi città italiane – i 14 comuni capoluogo di città metropolitana – in questa direzione. [questo materiale è stato utilizzato per la redazione di alcuni capitoli del rapporto Mobilitaria 2023]

“Il modello DPSIR per l’analisi ambientale focalizza l’attenzione sullo stato (state), ovvero l’insieme delle qualità chimiche, fisiche e biologiche delle risorse ambientali (aria, acqua, suolo, eccetera). Secondo lo schema proposto lo stato è alterato dalle pressioni (pressures), costituite da tutto ciò che tende a degradare la situazione ambientale (emissioni atmosferiche, produzioni di rifiuti, scarichi industriali, eccetera), per lo più originate da attività (drivers) antropiche (industria, agricoltura, trasporti, eccetera). Questa alterazione provoca degli effetti (impacts) sulla salute degli uomini e degli animali, sugli ecosistemi, danni economici, eccetera. Per far fronte agli impatti, vengono elaborate le risposte (responses), vale a dire contromisure (quali leggi, piani di attuazione di nuovi interventi, prescrizioni) al fine di: agire sulle cause generatrici dell’inquinamento ambientale; ridurre le pressioni; agire sullo stato in modo da risanarlo e riportarlo a livelli accettabili; limitare gli impatti sulla salute con interventi di compensazione.” 

ISTAT “Nota metodologica” dei “Dati ambientali della città”, 2012

Peraltro il modello DPSIR è alla base del Transport and Environment Reporting Mechanism (TERM) con il quale l’EEA monitora i progressi nell’integrazione degli obiettivi ambientali nei trasporti dal 2000.

Naturalmente il modello non va inteso in modo “meccanico”, un fenomeno come quello della mobilità urbana è estremamente complesso e la componente sociale è essenziale, non può essere isolato da una serie di fattori esterni che lo influenzano e anche le scelte specifiche che interessano direttamente la mobilità non possono essere considerate in modo strettamente deterministico, in quanto intervengono componenti soggettive che incidono sui comportamenti delle persone.

Tuttavia, organizzare gli indicatori utilizzati secondo lo schema DPSIR può aiutare a leggere i dati, evidenziare le relazioni e connettere tra di loro tutti gli elementi che incidono sulla mobilità.

In questo articolo iniziamo presentando i dati relativi alla prima componente del modello DPSIR: i Determinanti.

Determinanti: la mobilità con i veicoli privati

Uno dei determinanti più significativi per quanto riguarda la motorizzazione privata è costituito dal parco veicolare circolante e dal “tasso di motorizzazione” rilevato mettendo in relazione i dati in valore assoluto con la popolazione. (vedi I dati Eurostat sulle auto circolanti in Europa nel 2020: 530 ogni mille abitanti. I dati per tutte le regioni, Un tasso di motorizzazione elevatissimo, ed un parco auto ancora molto inquinante)

Nei due grafici che seguono sono riportati i dati relativi alle autovetture ed ai motocicli circolanti per mille abitanti nei comuni capoluogo delle 14 città metropolitane (2016-2021), ed a seguire i dati 2021 per i medesimi comuni relativamente ad auto e moto per 1.000 abitanti.

Si nota che in quasi tutte le città nel 2021 si è verificato ancora un incremento del numero di auto circolanti per abitante, una tendenza, cioè, opposta a quella auspicabile.

Se la circolazione di veicoli privati determina comunque una pressione sulla situazione della mobilità urbana/metropolitana, la tipologia di mezzi impiegati, con particolare riguardo alla motorizzazione ed alla classificazione inquinante, indica un ulteriore aggravamento della situazione.

Determinanti: la mobilità attiva

Una trasformazione profonda delle nostre città è all’ordine del giorno. Lo è per le esigenze evidenti di decarbonizzazione dei trasporti (come dell’edilizia, dell’agricoltura, dell’industria), ma lo è anche perché le città sono ormai l’habitat umano per eccellenza, un habitat che diventa sempre meno vivibile e meno salubre.

Lo sviluppo della mobilità attiva (pedonale e ciclabile) costituisce una prospettiva che è strettamente connessa con una diversa visione dell’utilizzo degli spazi urbani, che può andare di pari passo con una riduzione degli spazi dedicati alla mobilità motorizzata privata.

Le città pedonali e ciclabili sono città più vivibili, meno inquinate, che contribuiscono meno alla crisi climatica. Spesso e volentieri sono anche città in cui le persone sono mediamente più felici, più serene e hanno più tempo a disposizione per la cura di sé e degli altri. Una volta liberati dalla dominazione del traffico automobilistico, gli spazi urbani bonificati possono diventare accessibili e vivaci luoghi di vita. Inoltre, la ridistribuzione dello spazio stradale a favore della mobilità pedonale e ciclabile, se da un lato può rappresentare un’opzione di pianificazione tecnicamente impegnativa e politicamente sensibile, una volta realizzata, è generalmente apprezzata da tutti. 

In termini di determinanti della mobilità urbana la mobilità pedonale e ciclabile va letta per gli spazi e le infrastrutture dedicate, e le situazioni con entità più ridotte rappresentano un indicatore che esplicita chiaramente gli spazi di miglioramento aperti. Maggiori spazi pedonali e più piste ciclabili possono "determinare" un miglioramento del sistema della mobilità urbana.

Le piste ciclabili

L’Italia per quanto riguarda la disponibilità di infrastrutture per la ciclabilità è in generale assai lontana da quanto presente nel resto di Europa. Ad esempio, per fare un confronto, Helsinki ha circa 20 km di piste ciclabili per 10mila abitanti; Amsterdam e Ghent intorno ai 15 km. 

I dati presentati sono quelli pubblicati da ISTAT, relativamente ai comuni capoluogo delle città metropolitane. I capoluoghi delle 14 città metropolitane, hanno in media 1,5 km di ciclabili per 10mila abitanti; Venezia, Bologna, Firenze, Cagliari, Torino e Milano si collocano al di sopra del dato medio, ma comunque lontano da un livello ottimale che potrebbe essere quello di almeno 10 km di piste ciclabili / 10.000 abitanti, ovvero un metro ad abitante (target da differenziare in relazione alle dimensioni delle città – vedi più avanti). Milano è anche il comune che in valore assoluto al 2020 ha la maggiore estensione di piste ciclabili, cioè 293 km.

In termini di densità di piste ciclabili per 100 kmq di territorio, sono le stesse tre città a collocarsi al di sopra del dato medio dei 14 comuni capoluogo delle città metropolitane (38,1), ma con un ordine diverso: Milano, Torino, Bologna, Firenze, Cagliari e Venezia. Ricordiamo che il Piano Nazionale della Mobilità Ciclistica indica il target (al 2024) di 32 km/100kmq, come valore medio nazionale per i comuni capoluogo di provincia / città metropolitana.

Le aree pedonali

In termini di densità (m2 per 100 abitanti) il comune capoluogo di città metropolitana che assicura una maggiore estensione di zone pedonalizzate - dopo la particolare situazione di Venezia - è Firenze, anche se in termini assoluti, la maggiore estensione è quella di Milano (sempre dopo Venezia).

Determinanti: il trasporto pubblico

Non c’è mobilità sostenibile senza un trasporto pubblico di massa efficace e non inquinante. Quindi il trasporto pubblico, se efficente e non inquinante, costituisce un fattore che contribuisce a "determinare" un miglior sistema di mobilità urbana.
Di seguito illustreremo i dati relativi alle reti di metropolitane, tram e filobus, cioè al trasporto pubblico non inquinante che va considerato come determinante della mobilità sostenibile, quindi, meno è presente e maggiore è l’entità della mobilità inquinante.

Viceversa, l’incidenza di autobus più inquinanti nelle flotte di mezzi su gomma per il trasporto pubblico locale indica una modalità di mobilità comunque preferibile rispetto a quella che utilizza veicoli privati motorizzati, ma sulla quale occorre intervenire per assicurare la decarbonizzazione e l’eliminazione delle emissioni inquinanti.

Per tutti queste modalità di trasporto è poi rilevante l’intensità in termini di offerta, anch’essa significativa per acquisire un quadro completo della situazione della mobilità e quindi individuare le azioni da pianificare.

Complessivamente nei 14 comuni capoluogo di città metropolitana risultano nel 2020 178 km di metropolitana e 363 di tranvia, con incrementi molto ridotti rispetto al 2015 (+4,4 km di metro e 25,7 km di tram). Maggiore invece l’aumento delle reti filoviarie, passate nel periodo 2015-2020 da 127 a 180 km complessivi.

Di seguito i dati 2020 in valore assoluto dei 14 comuni capoluogo di città metropolitana ed i dati rapportati agli abitanti e alla superficie territoriale, da cui emerge che Milano è la città con una dotazione di linee su ferro o filoviarie più significativa. In termini assoluti seguono ben distanziate Roma, Torino e Bologna, sia pure con tipologie diverse (Bologna attualmente ha solo filobus).

In rapporto alla popolazione Bologna e Cagliari seguono a ruota il capoluogo lombardo, mentre in relazione al territorio – ma a distanza notevole – sono Torino e sempre Bologna ad avere una densità di reti di trasporto pubblico non inquinanti maggiore.

Per quanto riguarda le flotte di autobus nel complesso dei 14 comuni capoluogo delle città metropolitane sono composte per il 62% di mezzi più inquinanti, considerando tali quelli omologati fino a Euro 5 (classificazione obbligatoria da fine 2007).

Cagliari, Napoli, Roma e Catania hanno una situazione ampiamente peggiore della media, mentre positiva è la realtà di Messina e Palermo con meno del 30% di autobus più inquinanti, anche se il numero complessivo di autobus presenti nelle flotte è minore, poco.

In termini assoluti le flotte più numerose e quindi che richiedono maggiori investimenti per il sostituire i mezzi più inquinanti sono quelle di Roma con oltre 1.400 mezzi con classe di emissione pari o inferiore a Euro 5, seguita da Milano con più di 800, poi Torino con oltre 400 e poi tutte le altre città.

Naturalmente non conta solamente la disponibilità di reti e mezzi di trasporto pubblico locale, è importante anche l’intensità con cui questi vengono impiegati determinando una offerta al pubblico quantitativamente più o meno adeguata alla domanda.

L’indicatore che esprime la quantità di offerta di trasporto pubblico è costituito dai posti km / abitante, di cui nei grafici che seguono vediamo l’andamento per un esteso arco temporale (da considerare che i servizi nell’anno cruciale della pandemia Covid-19 sono ovviamente ridotti per le misure di contenimento) ed anche il confronto l’offerta assicurata nell’ultimo prima della pandemia (il 2019) rispetto a quindici anni prima (2005).

I due grafici mostrano come nel periodo considerato, nell’insieme dei 14 comuni capoluogo di città metropolitana l’offerta di trasporto pubblico locale sia diminuita (-6.5%), e come nelle città oggetto del rapporto spicchi di gran lunga Milano che segna un incremento del 17%, valori positivi si hanno anche a Cagliari, Firenze e Torino, Bari e Venezia si attestano nel 2019 sulla stessa offerta di servizio del 2005, negli altri comuni capoluogo di città metropolitana si hanno flessioni anche molto sensibili, con quasi il dimezzamento di Napoli e Catania.

L’indicatore, tuttavia, che maggiormente riassume in modo efficace e sintetico il peso delle varie modalità di trasporto pubblico locale, inquinanti e non inquinanti, tenendo conto dell’intensità, espressa in posti-km offerti, è quello indicato nel seguente grafico.

 Risulta abbastanza evidente dal grafico come a Bari, Reggio Calabria, Genova, Palermo Bologna, Messina, Catania e Cagliari siano i comuni capoluogo di città metropolitana con una quota di trasporto pubblico locale inquinante maggiore, addirittura superiore ai tre quarti dell’offerta totale. 

Al contempo è altrettanto chiaro che per le grandi città è importante un rilevante servizio di metropolitana, integrato per la diffusione sul territorio da reti tranviarie ed eventualmente filoviarie, è il caso appunto di Milano dove l’offerta con autobus è ridotta a meno del 20% del totale, anche se abbiamo visto comprende più di 1.300 mezzi e quindi una quantità di emissioni di CO2 e di inquinanti atmosferici significativa.

Per le città, invece, di medie e medio-piccole dimensioni diventa essenziale la presenza di un sistema tranviario che costituisca l’infrastruttura portante del trasporto collettivo di massa, come sta progressivamente avvenendo a Firenze e nel prossimo futuro a Bologna.

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